Elena Dak – La carovana del sale

Elena Dak, Deserto

Ho incontrato Elena Dak alla presentazione del suo ultimo libro “La carovana del Sale” e sono rimasto folgorato non solo dalla sua esperienza all’interno di una carovana di Touareg attraverso il deserto del Ténéré in Niger, ma soprattutto dalla sua energia e dalle sue parole così coinvolgenti ed emozionanti. Elena è scrittrice, viaggiatrice, amante del deserto, appassionata di antropologia, affascinata dalle tribù nomadi e qui ci racconta la sua ultima avventura. 

Ciao Elena, ci racconti innanzitutto come è nata l’idea di questa avventura?

Da antropologa, sono affascinata dai popoli nomadi, popolazioni che a differenza di noi sedentari, chiusi dentro le nostre case e posseduti da migliaia di oggetti, sono votati alla frugalità, all’essenziale, tendono a possedere poche cose per essere pronti a mettersi in movimento. Soprattutto mi affascina il fatto che vivono tutto in movimento, non solo i loro corpi, ma anche i loro pensieri, sentimenti, non solo l’aspetto materiale, ma anche quello emotivo.
Questo pensiero è nato dopo, essendo innamorata dell’Africa e soprattutto del Sahara quando scelsi di farlo nutrivo semplicemente il desiderio di essere parte di una di queste carovane nel deserto del Ténéré dove mi ero recata per lavoro varie volte. Il fatto che ci fossero popolazioni attaccate con le unghie e con i denti a stili di vita antichissimi e che seguivano riti ancestrali creava in me un’attrazione irresistibile.  

Ci spieghi in poche parole che cos’è una carovana del sale e in cosa consiste questo viaggio?

Immaginatevi una massa composta  di qualche centinai di dromedari – un tempo erano anche migliaia – e alcune decine di uomini, suddivisi in file di 10/12 animali e due uomini. Tutti questi segmenti si ritrovano alle porte del deserto e qui aspettano di trovare un capocarovana che li compatti e li guidi attraverso  600km di sabbia e roccia verso le miniere di sale. Qui, i carovanieri – quasi tutti pastori – comprano sale per poi rivenderlo o barattarlo nel sud del paese in cambio di miglio che è il cereale alla base della loro alimentazione. Tutto questo semplicemente per soddisfare il loro bisogno primario di cibo.

Cammelli, Deserto

A livello pratico come ti sei dovuta organizzare per affrontare questo viaggio?
 

Non  potevo e non volevo che la fatica mi soprafaccese al punto da impedirmi di godere di tutta la bellezza che questa esperienza mi avrebbe regalato, quindi ho fatto 9 mesi di allenamento di triathlon, tutti i giorni alternando corsa, bici e nuoto. Dal punto di vista pratico è difficile prepararsi, perchè finche  non la fai, non sai in cosa possa consistere un’avventura del genere. Avevo portato una piccola scorta di cibo (gallette di riso e miele) appena  sufficiente per una settimana , ma il senso della condivisione era così diffuso che subito misi a disposizione di tutti quelle provviste. Strinsi accordi con il capocarovana che mi diede due 2 dromedari uno per i bagagli e uno per me quando volevo riposare. In cambio pagai con sacchi di cibo come riso, mais, zucchero e tè perchè lui rinunciava a 120kg di sale per dromedario.

Tanti gli episodi di vita e lavoro quotidiano a cui hai assistito: la preparazione delle provviste, la sosta ai pozzi d’acqua, il rito del tè, il rituale dei novizi. Ci racconti il tuo preferito?

Fatico a risponderti, sono stati tutti tasselli fondamentali di un’esperienza che nella sua interezza è stata straordinaria e significativa. Sicuramente il rito del tè che si svolgeva in movimento incarna la quintessenza della cultura tuareg, dove tutto accade appunto mentre si cammina. Questo è un rito articolato e particolare che anche fatto da fermi ha le sue difficoltà e il suo fascino, ma farlo in movimento è meraviglioso e rappresenta la bellezza di quell’ andare che è la cifra piu significativa di una carovana.

Oasi, Deserto, Niger

Tra i touareg la comunicazione assume una connotazione più silenziosa, contemplativa, implicita. Come hai vissuto questi giorni di poche parole, ma molte sfumature?

Mi sono abbastanza abbandonata a fare ciò che loro facevano. Per indole e professione sono una persona intraprendente che prende in mano la situazione e decide, ma la carovana è stata un’esperienza in cui come non mai mi sono lasciata trasportare facendo quello che gli altri facevano, osservando il comportamento ed eseguendo quelli che mi dicevano, l’esatto contrario della mia indole. I touareg comunicano tramite piccoli messaggi con gestualità e sguardi, mi sono adeguata ma senza nessuna fatica alle loro modalità di interagire ed era diventato quasi un gioco. E’ stato bellissimo rendersi conto che la comunicazione verbale, che per il mondo occidentale è la via privilegiata, è per certi popolazioni solo un modo. La postura, lo sguardo, il silenzio, i gesti non sono solo canali di comunicazioni ma anche cemento che crea la coesione cosi importante in una traversata del genere.  

Un’avventura così estrema può riservare ostacoli fisici e psicologici. Oltre all’episodio della malaria, ci sono stati momenti che ti hanno messo in difficoltà o in crisi? Come hai reagito?

Verso la fine ho avuto un picolissimo malinteso col figlio del capocarovana. Io ero convalescente dalla malaria e insofferente di stare così tanto sul dromedario. Lui mi disse in maniera un po’ brusca che stavo camminando troppo e, un po’ provata dalla situazione, mi è venuto un momento di pianto. Lui in realtà si stava solo preoccupando per me.. Per il resto non ho avuto momenti di scoramento ero talmente fiduciosa che l’Africa e i miei compagni di viaggio si sarebbero presi cura di me che la paura non ha mai preso il sorpavvento. L’unica cosa di cui ho veramente sofferto è stato il sonno. Ci  si alzava alle tre e mezza,  si partiva alle 5 – ci voleva tempo per organizzare la squadra-  e  si camminava fino alle otto, nove, dieci di sera. Si dormiva quattro ore quando andava bene ed io ero morta di sonno. I carovanieri invece riuscivano ad appisolarsi sui dromedari nelle ore piu calde del giorno, mentre io non avevo l’abitudine e la capacità e temevo di sfracellarmi al suolo.

La carovana torna a casa, tu rientri in Italia. Senza pensarci, qual è la cosa che ti è rimasta dentro di questo viaggio?

Il sapore del latte. Il latte che bevevamo era in polvere sciolto nell’acqua – non latte fresco – e assieme alla polenta gialla era il cibo che mangiavamo camminando ogni mattina quando si alzava il sole per fare colazione. Era un momento bellissimo, in cui quattro/cinque persone intingevano nel pentolone il proprio cucchiaio di legno, creando un grande pasticcio, facendo cadere a terra piccole gocce che davano l’idea di nutrire il terreno e nel frattempo il sole saliva all’orizzonte.
Un’altra cosa che mi è rimasta dentro è stata la pazienza, dote di cui sono sprovvista. Ho necessariamente dovuto fare esercizio di pazienza e ho quindi  riportato la convinzione che volendo possiamo essere diversi da come siamo, abbiamo tutti dei margini di cambiamento incredibili, basta poterli e volerli raggiungere.

1200km nel deserto, 35 giorni di cammino, partecipe di una tradizione secolare, unica donna. Cosa si prova a vivere un’esperienza così particolare?
 

Quello che mi ha travolto è stata la dose di bellezza che ho avuto la sensazione di respirare e assorbire ogni giorno. Se dovessi usare una parola per chiudere in un cerchio l’esperienza che ho vissuto sarebbe sicuramente bellezza, in tutte le sue forme. Nei gesti, nei colori, nei silenzi, nell’andatura, nell’eleganza nella condivisione, nella sofferenza insieme. Materiale, paesaggistica, emotiva un altissimo senso della bellezza fa parte di me, sono una donna che non fa altro che ricercare e vivere inseguendo la  bellezza. 

Touareg, Deserto, Niger

 



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