Frammenti di Cambogia

Tonlè Sap, Cambogia
 

Sul balcone di casa nuova, appoggiato all’instabile, ma delizioso tavolino di legno  sono seduto su una scomoda sedia, il rumore di un martello pneumatico mi perfora i timpani, ma il fresco solletico del vento mi rilassa e mi domanda di cosa voglio scrivere oggi.

Ci penso, non mi viene in mente nulla e poi, come spesso mi accade, visualizzo un viaggio, un particolare, un momento. Ecco, là oltre i tetti di Milano, vedo la Cambogia e ho voglia di scriverne, una voglia forse troppo a lungo sopita e che raramente mi accende questo fervore. Non ho un tema, un fatto, una scaletta, ma solo voglia di rivivere la Cambogia, il mio primo viaggio in solitaria, sprovveduto, insicuro, curioso e spaventato.

Pimpante fuori e tremebondo dentro partivo per una meta scelta un anno prima, un po’ a caso, un po’ per visitare quella meraviglia incredibile che è Angkor e un po’ per andare in un posto dove non andava nessuno. 

Attimi brevi, intensi e colorati si accavallano nella mia vivida memoria.

Il sorridente Svuon che mi trova spaesato e timoroso alle 8 di mattina davanti alla mia orribile gueshtouse sotto un sole cocente. Con gentilezza mi propone i suoi servizi di moto guida per le affollate strade di Phnom Penh. Una persona semplice che mi racconta del suo paese con fierezza e un velo di tristezza, un ragazzo che mangia con me solo se lo invito e che mi organizza cento cose di cui ne capisco dieci. Primi confusi frammenti di Cambogia.

Phnom Penh, Cambogia
 

Il viaggio in barca lungo il Tonlè Sap, i villaggi galleggianti con i bambini nudi che sguazzano nell’acqua e le improbabili parabole come speroni sopra i tetti. La folla di persone che ci aspetta al porticciolo di Siem Reap con cartelli improvvisati con su scritti vari nomi, tra cui il mio. Il mio senso di colpa nell’evitare chi mi aspetta per unirmi ad un paio di ragazzi olandesi che, appena incontrati, non voglio assolutamente perdere per combattere le mie paure di isolamento.

Siem Reap, Cambogia
 

Angkor, non tanto e non solo il mastodontico Wat, ma tutto il complesso di templi quasi inghiottiti dalla giungla. Il puro piacere della scoperta salendo e scendendo – quando ancora si poteva –  i ripidi gradoni di roccia e ammirando il panorama dalla cima di ogni costruzione. La meraviglia di scoprire un posto così incredibilmente diverso da tutto quanto visto fino al giorno prima nella mia vita. Il godere di un luogo indiscutibilmente affascinante.

Angkor, Siem Reap, Cambogia
 

I giorni più belli a Sihanoukville vissuti al Khin’s Shack uno degli sparuti baracchini lungo la spiaggia dove appunto Khin, una giovane cambogiana simpatica e intraprendente, gestisce un angolo di paradiso dove poter mangiare, dormire, bere una beer lao e diventare amici. Il cielo stellato e il rumore del mare, la sensazione di stare bene, le risate e i giochi con i bambini della famiglia, il mal di pancia e il padre di Khin che mi vuole curare con improbabili tablets

Io, Steve e Reut, viaggiatori solitari incontrati per regali del destino, diventiamo amici di questa famiglia cambogiana e di tutto il circondario. Il ricordo di Steve, americano di New York, che finisce per innamorarsi follemente di Khin e che, per passare con lei più tempo possibile, non torna con noi alla guesthouse, ma dorme in una delle stanze “free” e l’indomani ci mostra i suoi 112 morsi di zanzara.

Sihanoukville, Cambogia
 

La sonnolente Kampot, dal fascino coloniale ed immediato. Silenzio, lentezza, relax. Un albergo gigantesco e spoglio, camere vuote, ma pulite. Tutto molto brutto, ma magnetico. Una signora ad una rotonda vende snack arrostiti e verdi, forse cetrioli;  la sua immagine è nitida ancora oggi a quasi 10 anni di distanza. 

Kampot, Cambogia
 

La sera, all’imbrunire, andiamo con un po’ di gente a Kep. Saliamo in tre su un motorino, stretti e precari rimaniamo stregati dalle risaie che sfrecciano di fianco a noi e dalle oscure palme che scorrono sopra ad un tramonto avvolgente.

L’ultimo giorno al mercato di Phnom Penh un bambino, uno dei tantissimi, mi chiede qualche soldo. Quando finisce un viaggio mi piace lasciare dietro di me qualcosa. Gli regalo il mio orologio e gli dico di non darlo a nessuno, ma di tenerselo per sé. Lo incontro di nuovo, poco dopo e il mio consumato Swatch non c’è più. Provo a chiedergli dov’è finito, ma abbiamo problemi di comunicazione, lui mi sorride innocente e incolpevole  e io non posso far altro che ricambiare il sorriso.

 



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